Cinema!

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tomaszrunning
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Re: Cinema!

Messaggio da tomaszrunning »

nella settimana scorsa ho visto (in ordine per la preferenza)
Loving Vincent un film capace di penetrare il mistero dell'arte e della vita di Vincent van Gogh attraverso un percorso inedito e straordinariamente affascinante. Scritto e diretto da Dorota Kobiela e Hugh Welchman, Loving Vincent prende il via dai giorni che seguirono la morte dell'artista olandese nel tentativo di rivelarne il tormento interiore e quel genio creativo che lo portò a realizzare in appena dieci anni di attività alcuni tra i più celebri capolavori dell'arte moderna. La peculiarità del film risiede nelle migliaia di immagini che lo compongono, dipinte da un team di 125 artisti che hanno ricalcato il suo stile. Molto interessante anche la scelta sul piano narrativo. Loving Vincent non è un biopic canonico. La storia prende il via nell'estate del 1891 quando un giovane di nome Armand Roulin (Douglas Booth) viene incaricato dal padre, il postino Joseph, di consegnare l'ultima lettera di Van Gogh (Robert Gulaczyk) all'amatissimo fratello Theo, cui scriveva di frequente. Armand parte per Parigi contrariato poiché non nutre una grande considerazione nei confronti del pittore, che giudica male per un macabro episodio che lo vide protagonista. In seguito alla dipartita del collega Gaugain a causa dell'ennesima lite furibonda, Van Gogh si tagliò un orecchio e lo inviò ad una prostituta. All'atto di follia seguì un suo breve internamento in un manicomio locale. Ma dopo aver scoperto che Theo Van Gogh è morto poco dopo il fratello, cui era legatissimo, Armand si appassiona sempre più alla sua storia fino a giungere al piccolo villaggio di Auvers-sur-Oise, dove Vincent trascorse le sue ultime settimane di vita.Attraverso le testimonianze delle persone che l'hanno accompagnato, compreso o incompreso, nei momenti finali della sua esistenza, ci inoltriamo nella conoscenza di un uomo la cui sofferenza rimane intima, misteriosa e quasi sempre impenetrabile.In Loving Vincent il pittore rimane una presenza elusiva, specie quando il film assume sempre più le sembianze di un giallo indagando sulla sua morte che potrebbe non essere stata un suicidio come riportato sui libri di storia. Un quesito interessante così come lo sono quelli che si pongono tutte le persone che hanno avuto il privilegio di incontrarlo. Forse non sufficienti a sostenere l'intera durata del film. Scomparsa la sorpresa e abituato lo sguardo dello spettatore alle sue immagini, per quanto innovative, rimangono il fascino e l'amore per l'arte.

Thor 3: Ragnarok Con Chris Hemsworth, Tom Hiddleston, Cate Blanchett, Idris Elba, Jeff Goldblum. Più ci avviciniamo a Infinity War e il suo sequel più comincia a prendere forma il grande intreccio che coinvolgerà tutti i personaggi. Di certo è ormai evidente come in questo meccanismo di sottotrame non tutti i film Marvel abbiano uguale peso, non tutti cioè portino avanti la storia alla stessa maniera. Thor: Ragnarok, è noto, sarà uno di quelli determinanti. Non si possono riprodurre sul grande schermo le caratteristiche tipiche dei vari supereroi dei comic, nei fumetti Thor infatti è pomposo, vanaglorioso, si prende molto sul serio. Da qui però a fare di questo personaggio un "buffone", un simpaticone di strada ce ne passa. Un film pieno di buone intenzioni tutte fallite e disilluse. Leggerezza è la parola d'ordine, e francamente non si vede chi possa dare torto ai realizzatori del film. Persino l'aspetto teatrale, con Thor ridotto a cosplay di se stesso, che compariva nel molto faticoso capostipite diretto da Kenneth Branagh, diventa in questo nuovo capitolo un motivo di divertimento, come mostra la myse-en-abyme su palco con il cameo di Matt Damon.

Gli Incredibili 2 Il più strabiliante superpotere di Gli Incredibili 2 è quello di tenere incollati, far sorridere e far sghignazzare, intenerire e soddisfare, nonostante il primo film avesse già fatto tutto questo quattordici anni fa e lo avesse fatto meglio. La miscela è fatta di grandi réprise e di piccole novità, cui si aggiunge un citazionismo evidente ma non invadente, spesso interno al mondo Pixar. L'azione riprende dove si era interrotta: i Super hanno avuto la loro occasione ma la sprecano, lasciando scappare Il Minatore (che fugge letteralmente fuori dal film, perché non se ne ha più traccia), lo spauracchio è ancora una volta quello di una vita normale, con un lavoro normale, ma un altro fan solletica la loro voglia di avventura e il loro desiderio di legittimazione. Un riccone che offre loro una villa à la Toni Stark (registicamente perfetta per le esplosioni di Jack Jack e le sue scorribande notturne oltre la grande vetrata), il cui padre (che assomiglia a Steven Spielberg) ha perso la vita senza mai smettere di "credere" nei supereroi e nella loro bontà. Ci sono cose a cui noi, invece, non crediamo fin dal primo momento, e questo è problema, ma l'originalità non è e non può più essere la priorità del film. C'è anche un nodo, il terrorismo ideologico di chi si oppone all'ipnosi collettiva e alla dittatura dei media, che resta solo abbozzato, ma altrove invece ci sono, a bilanciare il tutto, più sfumature relazionali, più ritmo, qualche ottima battuta e una lotta a quattro zampe in giardino che è spettacolo nello spettacolo.

Ant Man and the Wasp con Paul Rudd, Michelle Pfeiffer,Laurence Fishburne , Michael Douglas. In seguito agli eventi di Captain America: Civil War, Scott Lang è agli arresti domiciliari. La richiesta di aiuto del professor Hank Pym e della figlia Hope però lo obbligano a trovare uno stratagemma per eludere la polizia e tornare in azione.
Ogni volta che la faccenda si fa troppo imponente e si decidono le sorti del mondo, la Marvel ha bisogno del suo minimaxieroe più divertente per alleggerire l'atmosfera.Parola d'ordine: non prendersi mai troppo sul serio, ma neanche ricorrere all'ironia savant da social network di Thor: Ragnarok. Meglio una sana battutaccia da uomo medio americano, esemplarmente incarnato da Paul Rudd. Nella miriade di romcom e serie tv interpretate (tra cui Friends) Rudd è sempre riuscito a rimanere se stesso. Un eterno Peter Pan capace di autoironia e di una goffaggine irresistibile, e a suo modo eroica.

Codice Unlocked Con Noomi Rapace, Orlando Bloom, Michael Douglas, John Malkovich, Toni Collette.La storia è quella di Alice (Noomi Rapace), qualificato agente della CIA, ed esperta nella conduzione di interrogatori, che riesce ad ottenere da un giovane prigioniero membro di una cellula terroristica, delle informazioni vitali su un prossimo attacco contro un obiettivo americano a Londra. La donna riferisce i risultati dell’interrogatorio a Frank Sutter, uno dei responsabili dell’operazione, ma di lì a poco scopre di essere stata raggirata, perché Sutter non è affatto chi lei pensa. Alice si rende conto di aver fornito involontariamente all’uomo informazioni utili alla realizzazione dell’attentato, ed entra in azione per fermarlo, in una rocambolesca corsa contro il tempo per impedire un attacco biologico su Londra. Noomi Rapace ha di certo la fisicità adatta a questo ruolo molto forte, ad ha dato vita ad un personaggio feroce ed intenso, ma lo svolgersi fin troppo sbrigativo degli eventi nella storia, passando da una complicazione all’altra in continuazione, non le hanno forse permesso di esprimere davvero le molteplici sfaccettature che un personaggio di questo tipo poteva dimostrare. Anche Orlando Bloom, finalmente alle prese con un personaggio ambiguo e interessante, si trova a dover esagerare in volubilità, sembrando a tratti schizofrenico e alla fine improbabile, nel suo passare repentinamente da un’anima, ad un’altra; di certo ha incarnato il personaggio in maniera unica, apportando umorismo, mascolinità e presenza, ma la regia non l’ha aiutato, sicuramente. Douglas ovviamente fa bene il suo lavoro, ma anche il suo ruolo diventa un crescendo di discorsi esagerati e di accentuazioni drammatiche che gli fanno perdere credibilità e alla fine a tratti ci si annoia davvero, nonostante non si possa non ammettere che il film ha un suo ritmo, adatto al genere, e che la storia è potenzialmente interessante. Le interpretazioni migliori restano comunque quelle di John Malkovich nel ruolo di Bob Hunter, che nella resa del personaggio ha fatto scelte forti ed inusuali, dipingendo un capo della CIA intelligente, ironico e totalmente sopra le righe, e di Toni Collette nel ruolo di un’agente M15 forte e materna. Su questo film ho davvero molte perplessità. Con un cast di tutto rispetto, tra la Rapace, Orlando Bloom nel ruolo dell’enigmatico veterano di guerra Jack Alcott, il due volte premio Oscar Michael Douglas nel ruolo del mentore di Alice Eric Lasch, e Toni Colette, oltre che John Malkovich, nei rispettivi ruoli dell’agente MI5 Emily Knowles e di Bob Hunter, direttore delle operazioni europee della CIA, riesce comunque a dimostrarsi un film pretenzioso e alla fine non del tutto risolto. Anzi, potrebbe essere uno degli episodi della serie Homeland
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Re: Cinema!

Messaggio da Arla »

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Miro 69
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Re: Cinema!

Messaggio da Miro 69 »

Sempre su Paramount stasera Fargo :hail:
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29 Km -2h57'18"- Corsa del Principe 2017
42,195 Km - 4h29'36"- XXI Maratona di Ravenna 2019


Ho letto di cose già vissute e pensato di cose già scritte.
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poco82
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Re: Cinema!

Messaggio da poco82 »

Miro mi hai anticipato...capolavoro
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tomaszrunning
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Re: Cinema!

Messaggio da tomaszrunning »

ultimamente ho visto (nell'ordine della preferenza):
The Wrestler di di Darren Aronofsky. Con Mickey Rourke, Marisa Tomei
Negli anni '80 Randy "The Ram" Robinson era un eroe del pro wrestling all'apice della carriera. L'incontro con il rivale Ayatollah, sconfitto il 6 aprile 1989, sarebbe rimasto per sempre nella storia dello spettacolare sport. Tuttavia, venti anni dopo "l'ariete" porta sul corpo i segni della lotta. Appesantito e decaduto, lavora part time in un grande magazzino e pratica il wrestling nelle palestre dei licei, ogni fine settimana, per la gioia dei (pochi) fan che gli sono rimasti.
Il fallimento e la distruzione fisica sono temi che Darren Aronofsky aveva già esplorato in passato ma nel narrare la ballata del lottatore errante, trova il modo per estenderli a una sfera più ampia. Il personaggio di The Ram (interpretato da un Mickey Rourke in stato di grazia) rappresenta infatti l'essenza stessa del fallimento. Colpito da un infarto in seguito a un incontro mortificante, il vecchio wrestler inizia a riflettere sulla sua esistenza e trova nella spogliarellista di Marisa Tomei - una donna che per molti aspetti gli somiglia - un'affabile confidente che gli suggerisce di mettersi in contatto con la figlia. Spostando le luci di scena dal ring all'animo spezzato di un uomo, Aronofsky assume un piglio compassionevole, senza mai eccedere nei toni evitando la drammatizzazione fine a se stessa. Virando dall'"art-rock" e dal cinema artigianale e visionario al quale ci aveva abituati, per intraprendere una strada narrativamente più semplice e schematica, il regista statunitense (in)segue da vicino il wrestler, riprendendolo spesso di spalle in quello che appare un moto di deferenza, come se non volesse mostrare il declino dell'eroe.
Durante la sua personale ricerca di una rinascita, The Ram affronta a testa alta la vita fuori dal ring, provando con ogni strumento a sua disposizione a diventare l'uomo che non è mai stato. A sostenerlo è il ricordo del boato della folla, lo stesso che continua a tentarlo sebbene sia ormai un "vecchio pezzo di carne maciullata", perché i colpi inflitti dalla realtà sono più dolorosi di quelli subiti sul palco sotto ai riflettori. L'ultima drammatica sequenza, che lo mostra di spalle, è interrotta dal nero cinematografico e dai titoli di coda accompagnati dalla toccante ballata di Bruce Springsteen scritta appositamente per il wrestler e per tutti i lottatori caduti.
Il film ha ottenuto 2 candidature a Premi Oscar, 1 candidatura ai Nastri d'Argento, Il film è stato premiato al Festival di Venezia, ha vinto 2 Golden Globes

Blade Runner 2049 di Denis Villeneuve con Ryan Gosling, Harrison Ford, Ana de Armas, Sylvia Hoeks, Robin Wright
Trent'anni dopo gli eventi del primo film. Il film ha ottenuto 5 candidature e vinto 2 Premi Oscar, 8 candidature e vinto 2 BAFTA, 7 candidature e vinto un premio ai Critics Choice Award, 1 candidatura a CDG Awards
La forza suggestiva di un sequel che nessuno aveva previsto e forse nemmeno auspicato si è rivelata improvvisamente. Di Blade Runner pochi ricordano i dettagli della trama, ancor meno le personalità quasi abbozzate dei personaggi. A generare il mito furono le scenografie cyberpunk e l'atmosfera di disillusione e di pessimismo tipica del noir, innalzata qui all'ennesima potenza. Non c'è un tradizionale viaggio dell'eroe nè una distinzione netta tra buoni e cattivi. La natura sfumata, scettica, dubitativa e profondamente umana di Blade Runner è ciò che più di ogni altra cosa ha contribuito a renderlo speciale e filosoficamente vicino allo spettatore. Villeneuve pare rispettoso, quasi ossequioso verso l'originale di Ridley Scott. In un sequel - che ha tutta l'aria di un remake o di un upgrade il regista e il direttore della fotografia riprendono tutto del capostipite: le cicatrici, la postura del taciturno "Blade runner" Rick Deckard, le insegne luminose di aziende che furoreggiavano negli anni 80 (come Atari, finita in bancarotta nel 2013), gli occhi verdissimi e le fascinose replicanti, programmate per piacere. Fantascienza curata, matura e umanista che parla alla testa e al cuore del pubblico, sa trasmettere un senso di ineluttabilità dal sapore tragico e lirico allo stesso tempo, riflesso di mancanze, fragilità e incompiutezze a cui condanna l’esistenza. In questa stessa sospensione è lasciato anche lo spettatore, avvolto nelle cupe situazioni, atmosfere e suggestioni vissute dai protagonisti, perennemente in equilibrio tra ciò che è reale e ciò che non lo è. Il progresso è realmente tale? Chi è davvero un replicante? Chi un essere umano? Chi è stato creato e chi no? Qual è la vera differenza? Ma soprattutto, chi siamo veramente noi? Cos’è l’uomo? Lo sguardo verso un immaginario futuro non fa che riecheggiare i dilemmi sociali, morali e identitari del nostro presente. Si è annullato il confine fra uomo e macchina sintetica. Continua lo sfruttamento dell’uomo sul suo simulacro, o dell’uomo sull’uomo. La deriva dell'umanità è ormai senza controllo. Per quanto si voglia cercare delle soluzioni o delle risposte nel futuro, la verità risiede sempre altrove, forse in noi, forse da nessuna parte...

Sucker Punch di Zack Snyder con Emily Browning, Abbie Cornish, Jena Malone, Vanessa Hudgens, Jamie Chung
Unica erede del patrimonio di famiglia alla morte della madre, incolpata dell'uccisione della sorella, in realtà avvenuta per mano del malvagio patrigno, e da questi rinchiusa in un terribile manicomio, Baby Doll medita la fuga. Tra visioni, sogni, aspirazioni e metafore immagina la sua permanenza come la vita in un bordello in cui le prostitute danzano per attirare l'attenzione dei clienti e farsi scegliere. Quando danza per distrarre i clienti invece Baby Doll immagina la propria strada verso la libertà come un'iperbolica battaglia tecnologica tra katane, armi automatiche e nemici mostruosi.
Al suo quinto lungometraggio Zack Snyder sperimenta la via del soggetto originale. Dopo due adattamenti da fumetti, un cartone tratto da una serie di libri e il remake di un classico dell'orrore, il re del ralenti moderno fa un salto d'ambizione e produce, scrive, sceneggia e infine dirige una storia dalle aspirazioni altissime. Sucker Punch è un delirio di psicanalisi, immersione onirica e violenza metaforica, un tour de force espressivo non indifferente che satura la visione dello spettatore con una messa in scena barocca e stilizzata. Purtroppo però l'ego del regista (grande fin dall'esordio) stavolta ha fatto il passo più lungo della gamba e dei moltissimi stimoli che Sucker Punch mette sullo schermo pochi arrivano a destinazione mentre la maggior parte si perde in un magma ben orchestrato di musica, iperboli e immagini che mescolano realtà e computer grafica come già visto in 300. Zack Snyder ha descritto il film come «la cosa più folle che abbia mai scritto» e un «Alice nel Paese delle Meraviglie con le mitragliatrici» . Il tutto condito da ambientazioni fantascientifiche stile Il Signore degli Anelli con draghi e orchi, trincee e zone di guerra tipo seconda guerra mondiale con nazisti zombie e B-52, gelide montagne del Giappone con guardiani-colossi samurai, e (per non far mancare nulla) una città futuristica e un treno impazzito, difeso da cyborg e replicanti. Racchiudiamo tutto in una realtà a tre dimensioni, composta da una subrealtà rappresentata dal manicomio, una realtà fatta da una strana casa d'alto bordo, ed infine un mondo dei sogni connesso con la realtà dove tutte le azioni vengono rimosse dal tempo e dallo spazio, appunto abitato e composto da tutto ciò descritto poco sopra.
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Attenov
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Re: Cinema!

Messaggio da Attenov »

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:thumleft:
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Wannabe-runner
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Re: Cinema!

Messaggio da Wannabe-runner »

Su Iris ora The Illusionist, visto e stravisto ma sempre piacevole seppur qualche gradino sotto The Prestige.
Quando il vento ti è avverso, tu vai di bolina (R.Mercadini)
Sai oggi ho corso un pò
E perché diavolo l'hai fatto? Ti inseguivano o roba del genere? (Brittany runs a marathon)

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Re: Cinema!

Messaggio da Arla »

Concordo! Ed Edward Norton vale sempre la pena!
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tomaszrunning
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Re: Cinema!

Messaggio da tomaszrunning »

recentemente ho visto (nell'ordine della preferenza):
La guerra dei mondi di Steven Spielberg con Tom Cruise, Dakota Fanning, Miranda Otto, Justin Chatwin
Nelle sue linee essenziali La guerra dei mondi è notevolmente fedele al racconto di H.G. Wells, tenendo anche conto che essendo stato publicato nel 1898, ogni forma di attualizzazione era legittima, se non necessaria.
Siamo una società fragile, con le sue strutture in disfacimento e l'operaio specializzato Tom Cruise è a disagio con il cambiamento repentino di fattori tradizionali, come la famiglia, la società in genere e la sottocultura cui siamo condannati. Ed ecco che l'attacco alieno, assimilabile a quanto accadde il fatidico 11 settembre o a Perl Harbour, ricompatta lo stato famigliare, riconsegna il senso della vita, fino a trovare nel proprio inconscio, ormai depurato, l'antidoto per combattere con successo chiunque attenti all'esistenza e all'orgoglio di un popolo. Semplice, lineare, ma strepitosamente avvincente sul piano narrativo e spettacolare, il film di Spielberg sarà forse meglio compreso quando si sarnno acquietate le falangi di critici professionisti e no, autentiche creature aliene, che stanno ammorbando il cinema, privandoci del piacere di assistere a spettacoli di grande dignità professionale, come è appunto questa versione di La guerra dei mondi.
Interessante notare come non si vedano transitare nel racconto scienziati sentenziosi o giornalisti petulanti. Spielberg si pone dalla parte del pubblico con la sua capacità favolistica, nella quale il divo Cruise è perfettamente a suo agio

Jack Reacher con Tom Cruise, Rosamund Pike, Richard Jenkins, David Oyelowo, Werner Herzog
Cinque persone vengono uccise apparentemente a caso da un cecchino, sulla banchina di un fiume, mentre conducono la vita di tutti i giorni. Le prove sono schiaccianti e incastrano un ex militare, un tiratore addestrato. Pestato brutalmente durante l'interrogatorio, prima di cadere in coma, l'accusato fa un solo nome: Jeack Reacher. L'avvocato difensore non sa come soddisfare la richiesta, Reacher sembra non esistere, ma ecco che è lui stesso a presentarsi, con una teoria a dir poco spiazzante: il militare è colpevole, ma non di quell'eccidio.
Ex investigatore dell'esercito americano, mosso soltanto dagli imperativi morali di giustizia e verità, e dunque al di sopra della legge, il Jack Reacher di Tom Cruise assomma tali e tante qualità mitiche da risultare quasi ridicolo. Non si tratta sicuramente di un capolavoro ma lo spettatore è coinvolto fin dalle scene iniziali nel tentativo di svelare una trama complessa ed accattivante. Una delle migliori sceneggiature scelte da Cruise negli ultimi anni con la ciliegina del vederlo affrontare personalmente le scene d'azione

Gaten Ragnarok con Nicolai Cleve Broch, Bjørn Sundquist, Sofia Helin, Maria Annette Tanderød Berglyd, Julian Podolski
Excursus sulla mitologia norrena: il Ragnarok (da ragnarökr e quindi "Fine degli Dei") è l'apocalisse costituita da una serie di eventi significativi, che condurranno alla grande battaglia che fra luci ed ombre, potenti dei nordici contro giganti, con la sconfitta dei primi.
Ma se Ragnarok non fosse esattamente quello che le antiche rune, lasciateci dai vichinghi, stanno a significare? Se si trattasse di qualcos'altro? Magari di un tesoro... Queste sono le domande che si pone l'archeologo, vedovo e padre di famiglia Sigurd (Pål Sverre Hagen), che in compagnia di un suo collega Allan (Nicolai Cleve Broch), della bella Elisabeth (Sofia Helin) e dei suoi due figli (Maria Annette Tanderø Berglyd e Julian Podolski) e che segue una particolare trascrizione e parte per un viaggio al confine fra la Norvegia e la Russia, in un grande lago, che leggende vogliono senza fondo.
Vincitore di un Amanda Award per i migliori effetti speciali e di un Public Choice Award Ragnarok, si distacca fin dai primi minuti da certi film d'orrore e d'avventura europei, più sofisticati per temi, qualità visive e sviluppo della sceneggiatura. La netta differenza si avverte da subito e l'aria che tira è fortemente conformata a uno stile estetico e a un dinamismo narrativo americano. Mikkel Brænne Sandemose ha fatto di tutto per mantenere questa tendenza moderna e "blockbusterdiana" che il primo marchio di fabbrica di certi Studios. Emblematico l'uso degli effetti speciali, in questo senso, e di tutte le sequenze in cui la famigliola esploratrice si trova in pericolo contro il primitivo e gigante serpente.
Ragnarok promette dunque il solito mix di horror, avventura e azione, oltre che una prevedibile evoluzione del personaggio protagonista, sempre meno isolato e sempre più inserito all'interno della sua famiglia, ritornando al suo vero status di padre e, forse, nuovamente di marito.
Non male, un po'ingenuo, ma girato bene... Comunque meglio di molti concorrenti made USA più blasonati.

The Post di Steven Spielberg con Meryl Streep, Tom Hanks, Sarah Paulson, Bob Odenkirk
Il film di Spielberg "The Post" s'inserisce all'interno di un filone collaudato che tratta dei rapporti tra potere politico e "quarto potere" e che esalta il coraggio dei giornalisti nel rivelare trame, macchinazioni, manipolazioni esercitate dalle istituzioni. Nel caso specifico, il governo degli Stati Uniti che, pur consapevole dell'impossibilità di vincere la guerra in Vietnam, ha mentito al popolo americano, accreditando progressi militari inesistenti, mirati a coprire l'umiliazione della sconfitta. Una guerra che, è opportuno ricordarlo, ha provocato, solo tra le forze americane, quasi 60.000 morti, più di trecentomila feriti e ha visto impegnate, nel momento dell'escalation del '69 , più di mezzo milione di soldati.
La vicenda che Spielberg dipana è abbastanza nota: prima il New Iork Times, poi il Washington Post entrano in possesso nel 1971, di documenti riservati del governo americano (il rapporto McNamara) che attestano come almeno tre presidenti USA fossero pienamente consapevoli dell'andamento sfavorevole del conflitto in Vietnam, ma che hanno proposto un'immagine distorta della guerra per evitare i contraccolpi politici di una ritirata davanti al "nemico comunista".
Il New Iork Times pubblica alcun stralci del rapporto, ma riceve un'ingiunzione della Corte Suprema che impone di sospendere la pubblicazione del materiale. Il Washington Post, a cui perviene il rapporto quasi nella sua interezza, decide di sfidare la proibizione, nonostante attraversi una fase delicata (sta per quotarsi in borsa e le banche che sostengono l'offerta pubblica potrebbero ritirarsi nel caso di provvedimenti giudiziari restrittivi). L'editore (Katharine Grahan, interpretata da Maryl Streep) mette a repentaglio la sua reputazione e l'esistenza stessa del giornale, ma decide di mantenersi fedele al primo emendamento e al principio che "la verità dei giornali non serve ai governanti, serve ai governati”".
Il film ricostruisce le giornate convulse che precedono (e seguono) lo scoop, i pareri contrastanti all'interno della redazione, i rischi che l'operazione comporta per la sopravvivenza della testata, i dubbi che tormentano la Grahan, trovatasi quasi per caso a dirigere il giornale e, all'inizio, restia ad autorizzare la pubblicazione. Lo fa con uno stile secco e incisivo, efficace e allo stesso tempo poco spettacolare, che "fa entrare" lo spettatore nella redazione del giornale, lo "immerge" nell'ambiente del Post e delle sue macchine da scrivere, gli fa respirare gli slanci ideali e la vocazione democratica dei giornalisti e dei movimenti di protesta alla guerra, ma anche i timori della rovina che s'abbatterebbe sul Post in caso di sconfitta.
Un film girato in fretta, abbandonando progetti già avviati, per ribadire l'importanza di un giornalismo libero e indipendente, in un momento in cui i media - televisivi e non- sono oggetto di pesanti attacchi e di delegittimazioni da parte della Presidenza Trump, a riprova che i rapporti tra potere politico e carta stampata presentano una conflittualità ciclica che riemerge come un fiume carsico.
Ieri Nixon, oggi Trump, ma gli anticorpi sono- almeno c'è da augurarselo- superiori alle derive autoritarie.

Ricomincio da me con Jennifer Lopez, Vanessa Hudgens, Leah Remini, Treat Williams, Milo Ventimiglia
Film piatto e noioso. Una trama banale e scontata. La solita JLo, sembra di rivedere uno dei sui vecchi film anni 2000

L'uomo che uccise Don Chisciotte con Adam Driver, Jonathan Pryce, Stellan Skarsgård, Olga Kurylenko
Un film mescolante di fantasia allegorica, modernismo, chiacchiere, ritrovamenti, luoghi di set andati, ricordi, facce stralunate, fughe, aggrovigliamenti, sentori modernissimi e fatui luoghi, ora vivi e ora spenti, del romanzo dello spagnolo. Il cinema nel cinema, il dietro le quinte, la ricerca dei posti, il lontano andare di un’avventura da costruire, la ricerca delle facce giuste, la proiezione della pellicola dietro alla ripresa e davanti a Toby (Adam Driver) mentre M. de Cervantes e il suo eroe cavalcano per girare. Il set diventa, in sincronia pellicolare, ripresa difesa, ripresa di un ricordo e ripresa in sala per il set stesso e per lo spettatore. Un accavallarsi di tutto. Quasi un non senso come la filmografia del regista promette e mantiene. Chi sa se la sensazione di qualche lungaggine è voluta e qualche stop narrativo il tempo di troppe attese per girare il film hanno creato sensazioni strane allo stesso regista trasmesse nel film stesso.
Paesi coinvolti nella pellicola ben cinque (Regno Unito, Spagna, Francia, Portogallo e Belgio) e set tra Canarie, Portogallo e Spagna.
Regia multicolore e variegata, ora ferma e ora smossa, lineare e asimmetrica.
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Miro 69
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Re: Cinema!

Messaggio da Miro 69 »

Stasera su Iris "Burn after reading" troppo forte !!
21,097 Km -1h56'07"-Garda Trentino HM 2013
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Ho letto di cose già vissute e pensato di cose già scritte.
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